
Caracas, Venezuela.–Il paese con le maggiori riserve di petrolio del mondo dipende, per la produzione e l’esportazione del greggio, dalle licenze che un altro governo detta col contagocce.
Nel mese d’aprile scorso, la Casa Bianca ha annunciato la re-imposizione di sanzioni sul petrolio e il gas venezuelani, dopo aver accusato il Presidente di questa nazione sudamericana di non rispettare i suoi impegni elettorali con l’opposizione.
Il Dipartimento del Tesoro ha posto la data limite del 31 maggio perchè le imprese straniere frenino le loro operazioni nel paese e ha dichiarato che le compagnie che vogliono fare affari con la statale petrolifera PDVSA dovranno sollecitare autorizzazioni individuali.
Il mancato rinnovo della Licenza 44 ha generato al Venezuela perdite parziali di 2 000 milioni di dollari, in accordo con le dichiarazioni del suo presidente, Nicolás Maduro.
Licenze o permessi? Direttive per organizzare la vita economica di un paese straniero, ricco in risorse naturali? È una formula fin troppo nota per l’America Latina ed è la stessa strategia del blocco che Cuba soffre e conosce a memoria.
Sembra falso, ma la Patria di Bolivar e di Chavez rappresenta «una minaccia non abituale e straordinaria per la sicurezza nazionale e la politca estera degli USA».
L’ex presidente Barak Obama lo decretò nel 2015 e l’amministrazione di Donald Trump, nel 2017, lo ha rinforzato mediante la strategia della della «massima pressione».
Quello provocò gravi picchi d’inflazione tra il 2018 e il 2019. In questi anni «casualmente», Washington scatenò le sue misure coercitive contro il Venezuela e oggi sono più di 900.
In accordo con il Ministero del Potere Popolare per le Relazioni Interne, Giustizia e Pace, le conseguenze di queste sanzioni sono per-inflazione, scarsi beni e servizi , chiusura delle industrie, emigrazione, il calo della qualità di vita e del benessere del popolo.
Nel 2017, Citibank rifiutò di ricevere i fondi che lo stato venezuelano depositava per l’acquisto di 300 000 dosi d’insulina.
Più che un paradosso è cinico che il Governo che boicotta l’entrata in Venezuela di medicine e alimenti, accusi poi il Venezuela – nel suo rapporto per paesi del 2023 sulle pratiche dei diritti umani – di permettere la carestia del popolo e si riferisca a una presunta crisi umanitaria.
Il blocco è una costante che varoa solo nelle sue aggressioni. Ora non solo attacca direttamente l’economia, ma tenta di destabilizzare la società attraverso la guerra mediatica, attribuendo le conseguenze
delle sue azioni alla cattiva gestione del Governo.
Da quando il Consiglio Nazionale Elettorale ha annunciato i comizi Presidenziali per il 28 luglio, il Venezuela è diventato il bersaglio delle aggressioni.
I tentativi per intervenire nelle decisioni interne, nelle forme di governo e nel processo elettorale della nazione sudamericana, sono gli attacchi contro questa nazione della cricca diretta da Joe Biden.
Nel suo programma Maduro Maduro Podcast, il capo di Stato venezuelano ha assicurato che il blocco economico si è trasformato in un blocco di reti, per far sì che non si conosca la verità (…); non mostrano il popolo che sta, con migliaia di persone, nelle strade lavorando e mobilitando, non mostrano la realtà del recupero economico, del benessere, della pace, della sicurezza che ha oggi il Venezuela». (GM/granma Int).





