Il tema del narcotraffico genera interesse permanente e, come norma, si associa esclusivamente a temi di sicurezza e per il loro impatto con la salute pubblica.
Senza dubbio ha anche una stretta relazione con la politica.
Può e si usa come strumento di dominio politico nella nostra regione.
Il narcotraffico e la sua corrispondente sequela di crimini, violenza e disarticolazione sociale, costituisce oggi una circostanza approfittata dai poteri fattuali e l’imperialismo yanquee, per mantenere il suo dominio politico nel sub continente americano.
La stessa esistenza della percezione d’insicurezza che impone il narcotraffico, provoca una naturalizzazione di metodi autoritari e società, parzialmente o totalmente militarizzate, che si legittimano proporzionalmente all’aggravamento del clima di terrore.
Sotto lo stendardo dello scontro al flagello del commercio delle droghe, gli USA hanno spiegato numerose risorse militari, includendo basi permanenti programmi d’assistenza, consulenti e il non poco ingrato Ufficio nordamericano dell’amministrazione per il controllo delle droghe (DEA) in buona parte del territorio latino americano.
In realtà è poco credibile il presunto e «nobile» interesse della potenza del nord per abbattere il narcotraffico perché, a rigore, i benefici che questo lascia alla plutocrazia sono notevoli, al disopra della logica opacità dei numeri per dimostrarlo.
È evidente la contraddizione tra il ruolo che gli USA dicono di svolgere e in parallelo la costituzione di una sorta di grande aspirazione, cioè il grande mercato del consumo di oppiacei nel mondo.
In questo paese il mercato delle droghe si colloca come la seconda industria che genera più utilità, al di sopra della vendita del petrolio o altro.
Il primo posto, già lo sappiamo, lo occupa il commercio nazionale con l’esportazione di armi, che in pratica opera abitualmente relazionato con il narcotraffico, e si retro alimentano reciprocamente.
Sotto questo impressionante stimolo, al commercio delle droghe si applicano le generali della legge del sistema capitalista, secondo le quali se un settore o un’industria dà guadagni ai poteri dominanti, per caso il finanziario e il complesso militare industriale, inevitabilmente questo ha a che vedere nella vita e nel funzionamento della politica del paese.
Sommando le risorse che almeno negli ultimi quattro decenni sono state spese dalle autorità statunitensi per affrontare il narcotraffico, ci troviamo in presenza della più catastrofica incompetenza o, a rigore, è sempre stata una politica gattopardiana, cioè simulare di cambiare qualcosa per non cambiare niente.
Per queste ragioni sospette, alcuni esperti qualificano la famosa DEA come il cartello più grande del mondo con licenza per ingannare.
Recentemente si profila una realtà nuova, partendo dall’evoluzione drammatica della crisi del fentanillo negli Stati Uniti, che comincia a spiazzare altre droghe come la cocaina d’origine latinoamericana, e che eliminerebbe in teoria la giustificazione per tale presenza militare nella regione.
Per il momento, ciononostante, lo scontro al crescente consumo del fentanilo è più dello stesso, colpevolizzando terzi.
L’amministrazione Bidel sta operando così e in occasioni acquisisce profili surrealisti, come le proposte dei settori repubblicani che dato l’eventuale coinvolgimento dei cartelli messicani nella distribuzione della nuova droga, parlano palesemente di un intervento militare in Messico.
IL NARCOTRAFFICO S’ESPANDE DAI GOVERNI CONSERVATORI
Al di là di comportamenti generali, si può dire globalizzati, il crimine organizzato ha un impatto speciale in vari paesi latino americani; curiosamente la sua espansione suole coincidere con regimi guidato dalla destra.
Ci si può riferire a vari esempi. Prendiamo a caso l’Ecuador, con la guida di qusto segno politico da Lenín Moreno ad oggi.
Cos’è avvenuto in questo periodo? Da quasi zero, l’incidenza del narcotraffico nell’insicurezza cittadina si è moltiplicata intervenendo con la violenza abituale nell’ultimo processo elettorale, con il poco velato obiettivo d’ostacolare il ritorno al governo del detto “correismo”.
Da quasi zero, ripeto, il paese è diventato una rotta obbligata verso il nord e ha generato le condizioni per lavare tra 500 e mille milioni di dllari l’anno, risultanti da questo ruolo nel commercio regionale, di fronte allo sguardo indifferente o a una debole risposta delle autorità ecuadoriane.
Lo scandalo associato a Bernardo Manzano, ex ministro d’Agricoltura del Governo del presidente Guillermo Lasso, ha esposto solamente, di fronte all’opinione pubblica, una rete straordinaria d’affari torbidi strettamente associati al traffico degli oppiacei.
L’Ecuador oggi è una via alternativa a quella tradizionale del Messico, anche se con un pieno coinvolgimento dei tristemente celebri cartelli della droga di quest’ultimo paese, e delle mafie d’origine europea.
Per caso l’Albania che, si assicura, ha finanziato la campagna elettorale dell’ex presidente Lasso.
Ugualmente si può apprezzare il caso del Perù, probabilmente il principale esportatore si foglie di coca dell’emisfero latino americano, la cui industria ha avuto un formidabile puntale politico nel fujimorismo, praticamente con il Governo del duo terribile Fujimori/Montesinos, dagli anni ’90 del secolo scorso.
Dopo un tempo, incontrarono un deposito di droghe in un magazzino di Keiko Fujimori, la principale erede politica del despota, che era di sua proprietà, nel 2013.
Nelle ultime elezioni e stata la principale rivale dell’allora defenestrato presidente Pedro Castillo Terrones.
E poco quello che si puo aggregare sul Centroamerica, che non risulti un’ovvietà.
Basta vedere la sorte corsa dal precedente mandatario del Honduras, Juan Orlando Hernández, con un processo pendente nelle corti statunitensi per guidare una mafia locale di traffico dei narcotici, utilizzando il suo paese come una specie di portaerei, per il passaggio di migliaia di voli con tonnellate di cocaina, secondo i procuratori del caso.
Lì la politica si è mescolata molto con questo problema non solo per il coinvolgimento di figure importanti della destra locale, ma perchè è servita paradossalmente per giustificare l’onnipresenza del Comando Sud degli USA nel paese, che controlla la base di Palmerola, la più grande che l’esercito imperiale possiede fuori dal territorio nordamericano in America.
La crescita del traffico degli oppiacei sembra inarrestabile, capace di trascinare qualsiasi sistema politico a sud del Rio Bravo.
Se restavano dei dubbi al rispetto, nelle ultime settimane ha acquisito notorietà il disgraziato apporto che ha fatto il governo di Luis Lacalle Pou, in Uruguay, che sembrava, per chi non conosce la destra corrotta dell’Uruguay, un territorio estraneo al problema.
Dopo l’inattesa rinuncia del cancelliere orientale Francisco Bustillo, il presidente uruguaiano si è visto obbligato a riorganizzare il suo gabinetto, includendo il titolare degli interni, accusati come minimo di tolleranza.
Sono restati indietro i tempi in cui il presidente Lacalle mostrava una presunta superiorità politica di porta stendardo della democrazia, protagonizzando scene di condanna contro altri governi, come il cubano.
L’esistenza del fenomeno del narcotraffico in paesi come il Messico o il Brasile, ora governati da forze progressiste e di sinistra, non nega il concetto qui esposto sul vincolo destra-narcotraffico, non solo perchè lo ereditano, ma perchè affrontano la sfida di fronteggiare la dicotomia tra soluzioni altamente militarizzate di destra , o politiche sociali logicamente di più lenta maturazione, che lascino senza appoggio popolare o mano d’opera le strutture criminali.
Alcune delle accuse contro i governi di sinistra, di presunta cooperazione con i narcos, s’iscrivono abitualmente in operazioni psicologiche proprie della guerra di bassa intensità, giustamente per screditarli e anche per giustificare ogni tipo d’aggressione fabbricata a Washington.
In ogni caso il ragionamento conduce a che, probabilmente, l’unica uscita per far sì che i paesi latinoamericani superino questo incubo, è con i governi, con progetti di sinistra nei quali siano dominanti le politiche che apportano la maggior giustizia sociale possibile. (GM/Granma Int.)