OFFICIAL VOICE OF THE COMMUNIST PARTY OF CUBA CENTRAL COMMITTEE

Il giorno in cui è stata annunciato la decisione di Cuba, che in realtà era la decisione dei suoi uomini, di questi uomini, di andare nelle zone rosse dell’Africa, i cubani ci siamo trasformati in una sola famiglia.

La Brigata Medica cubana in Liberia è un collettivo unito. Le tensioni sono diminuite e si preparano le valige del ritorno.

Questa Monrovia serena non è quella conosciuta nei primi giorni, dopo l’arrivo. Il chiasso dei venditori nelle strade principali annuncia paradossalmente la calma. Parlo con medici e infermieri e commento quello che sanno già.

A Cuba li seguono e li aspettano. Ma loro non accettano d’essere considerati eroi, forse perchè lo sono davvero... Il giorno che si annunciò la decisione di Cuba che era in realtà la decisione dei suoi uomini, di questi uomini, di andare nelle zone rosse dell’Africa dove c’era l’epidemia di Ebola, i cubani ci siamo trasformati in una sola famiglia.

Li abbiamo sentiti nostri come padri, fratelli o figli e abbiamo seguito la loro salute, quella dei loro pazienti salvati o perduti. Ho conversato con quasi tutti e nessuno somiglia a un altro.

Sono tanto differenti ma uguali in alcuni punti: questi uomini sono cubani della Rivoluzione. Voglio presentare la testimonianza del dottor Leonardo Fernández, di 63 anni, specialista in Terapia Intensiva e Medicina Interna, master in Emergenza Medica e Terapia Intensiva, professore assistente della Facoltà di Scienze Modiche di Guantánamo.

Che parli lui. “La mia famiglia è abituata, perchè sono già diverse le missioni a cui ho partecipato, ma condividiamo il coraggio. È una famiglia poco numerosa e molto rivoluzionaria. Mia moglie, due figli una zia e due zii. Mia moglie è pensionata, una delle figlie è laureata in Laboratorio Clincio ed è stata in missione in Venezuela.

Mio figlio è autista d’ambulanza. Una famiglia piccola, ma molto unita. Credo nei giovani. come no! La gioventù è cambio, è Rivoluzione. Io dico ai miei compagni più giovani che non posso pensare come loro. Sono cresciuto in un’altra tappa un’altra epoca, con altre necessità. Ora ci sono nuove visioni, più facilità.

La gioventù è cambio. Quello che noi dobbiamo fare è formare valori e principi. La maggioranza dei brigatisti qui sono giovani. I vecchi siamo quattro o cinque.

E sono stati molto coraggiosi, soprattutto gli infermieri e abbiamo lavorato con molta intensità. Con paura. Tutti sentivamo una paura tremenda prima di partire e l’abbiamo ancora, perchè fino all’ultimo giorno il bichito ( il virus) ci può intrappolare.

Con paura, ma con valore. Credo che la preparazione che ci hanno dato in Cuba sia stata molto buona, direi decisiva, perchè ci hanno parlato con verità dal principio, dicendo quello che ci aspettava e i rischi che si correvano. Ci siamo preparati in Cuba. Io ringrazio molto la preparazione della OMS, ma quella di Cuba nell’Unità Centrale di Collaborazione Medica e nell’Istituto di Medicina Tropicale Pedro Kourí non aveva niente da invidiare.

Uno usciva di là sapendo quello che affrontava, sapendo i pericoli, preparato psicologicamente e tecnicamente per quello che andavamo a fare. È stato fondamentale.

E poi il saluto del Generale (parla di Raúl Castro) ha riempito di forza tutto il mondo! “Quando siamo arrivati, abbiamo trovato un paese, una città deserta. Non c’erano quasi auto nelle strade nè persone: non si vedeva nessuno. Anche nell’hotel dove mangiavamo si vedevano solo cubani e tre funzionari della ONU. E lo commentiamo: signori che differenza... così uno se ne va con questo piccolo orgoglio! Io ho fatto qualcosa perchè questa città tornasse ad essere piena di gente.

Le persone per strada ci salutano quando andiamo a mangiare o a comprare qualcosa, ci trattano con un tremendo affetto! Le macchine per strada si fermano per far passar i cubani. L’Unità l’abbiamo vista nascere, nella prima settimana entravamo con un terribile timore. ma poi col tempo abbiamo dovuto fermare qualcuno che voleva fare più di quello che che ci avevano richiesto.

Abbiamo visto morire famiglie intere, bambini che restavano soli, la mamma, papà e tre fratelli morti... terribile! Ma abbiamo visto anche altri sopravvivere all’Ebola e andandosene adottavano i bambini restati soli. Non c’è miglior guadagno per noi che vedere questa solidarietà dei liberiani tra di loro. Noi siamo andati per un principio di solidarietà e mai in Cuba si è parlato di ricompense .

Sono venuti nel mio ospedale ed hanno chiesto chi era disposto ad andare. Ci hanno detto che potevamo non ritornare. Io ho alzato la mano. Nessuno ha detto: ti pagheremo tanto o ti daremo questa cosa. Questo è il concetto della stragrande maggioranza. Guarda.

L’Impatto mediatico di questa missione, la propaganda che è stata disseminata in Facebook, per Internet, ha fatto sì che alcuni tra noi pensano d’aver compiuto una cosa straordinaria, che siamo tutti eroi. Io penso che noi abbiamo compiuto il nostro dovere, con un’etica rivoluzionaria, un’etica medica.

Che differenza c’è con coloro che stanno nelle selve del Brasile? Che differenza c’è con chi sta nella selva del Venezuela, chi sta solo in comunità indigene per mesi... Che differenza c’è con chi sta in un villaggio in Africa? Io per esempio, nella capitale del Mozambico, lavoravo in terapia intensiva provinciale, ma avevo compagni che vivevano alla frontiera, nella selva, con temperature di 48 gradi.

Qual’è la differenza? La differenza è che questa è stata una missione internazionale molto famosa, mediatica, alla quale è stata data la importanza che ha, perchè in realtà ci vuole valore per dire “vado” e affrontarlo. È innegabile, ma è stato solo un impegno in più.

Non necessitiamo retribuzioni, ci basta il riconoscimento che abbiano accettato la nostra disposizione di lavorare qui e che il nostro popolo parli di noi è il più grande riconoscimento. Se qualcosa di materiale viene a volte, benvenuto, dato che non abbiamo tutte le necessità risolte, ma non è che io penso che me lo merito, che mi si deve dare qualcosa. I Cinque sono stati 16 anni in prigione e non hanno mai pensato in nessun momento in altre cose.

La gente necessita individui che diano l’esempio. Io ho avuto la fortuna d’aver condiviso con Vilma, con lo stesso Raúl, che forse non si ricorda perchè io ero il medico in carovana con loro.

Con Fidel sono stato tre o quattro volte come con lei adesso. I Cinque sono veri Eroi e non li vedo parlare del loro eroismo, del loro coraggio... uno per farsi rispettare non deve credersi un eroe. Quello che mi piace è che mi riconoscano come un convinto rivoluzionario, fermo nei miei principi, questo è sufficiente.

E in Cuba sono molti, sono troppi così, quelli che si alzano tutti i giorni a mezzanotte per fare il pane che io mangio la mattina, questi che tagliano le canne per decine di anni per far sì che si abbia cibo: questi sono indubbiamente degli Eroi... (Mundo / Frammento – Traduzione GM – Granma Int.)