Il 2 febbraio del 1514, nel territorio di Mayanabo, in Punta de Guincho, si riunirono Diego de Ovando e un gruppo di cavalieri che avevano marciato via terra da Jagua (Cienfuegos), con 40 uomini che erano giunti dal mare con viveri, armi, strumenti e utili per la pesca. Provenienti dalla città di Nuestra Asunción di Baracoa, fondarono Santa María del Puerto del Príncipe, una città che nasceva vicino al mare sotto la protezione della Santissima Vergine.
Avevano l’incarico del Governatore Generale Diego Velázquez di fondare una città con tutte le istituzioni della legge: il municipio, la chiesa e case costruite dagli aborigeni così come loro costruivano le capanne, con foglie di palma e guano.
Due anni dopo, con migliori condizioni, si sommò un altro gruppo formato da uomini, donne e bambini.
Il punto della costa era buono per la difesa in qualsiasi contingenza e per il commercio, ma senza dubbio era molto difficile per le condizioni di vita. Le plaghe la mancanza di acqua e il terreno infertile fecero sì che la quarta città di Cuba avesse la qualità di camminatrice.
È così che si trasferì verso una pianura bagnata dal fiume Caonao. Ma le relazioni con i nativi cubani del territorio non furono cordiali per lo sfruttamento a cui furono sottoposti e si sollevarono, attaccarono e diedero fuoco al secondo insediamento.
Glispagnoli sopravvissuti giunsero a una terra promettente situata tra i fiumi Tínima e Hatibonico. La zona era conosciuta dagli aborigeni como Camagueybax. Lì il cacicco li ricevette in maniera molto amabile, facilitò il loro alloggiamento, l’acqua, la legna e provviste.
Così s’insediò definitivamente una delle prime sette popolazioni fondate dai conquistatori spagnoli in Cuba e in America
Le buone terre di questo luogo distante dal mare, quasi nel mezzo dell’Isola, facilitarono anche lo sfruttamento dell’oro, lo sviluppo dell’agricoltura e soprattutto dell’allevamento, favoriti dall’estensione della pianura.
La sua storia non si è mai potuto raccontarla completamente perchè non esistono documenti precedenti l’anno 1700, per via dei danni provocati dai disastri ambientali, dagli incendi e dagli attacchi dei pirati.
Durante anni successero molti fatti che coinvolsero corsari e pirati, anche se sembra che la maggioranza delle apparizioni di queste navi aveva il contrabbando come obiettivo principale.
Nell’anno 1741, la Villa de Santa María del Puerto del Príncipe contava con 13 000 abitanti, erano migliorate le condizioni costruttive delle case, degli edifici del governo e religiosi.
Da allora è presente il singolare tracciato delle strade strette e sinuose che vincolano piazze e piazzette, una caratteristica che si mantenuta sino ai nostri giorni nel centro storico della città, che è stata la ragione principale perchè Unesco dichiarasse una parte di questo come Patrimonio Culturale dell’Umanità nel 2008.
Nel 1980 era già stato dichiarato Monumento Nazionale.
Ma Camagüey, nominata così dal 1903, è più che stradine e vicoli nel tracciato urbano del centro storico.
La sua creazione culturale viene da molti anni, tanto che è la culla della prima opera letteraria cubana, “Espejo de Paciencia”, sul tema della pirateria.
Sono 330 ettari della più pura eredità coloniale che si pongono a disposizione dei visitatori, con spazi come il Casino Campestre, il parco urbano più grande di Cuba, con le sue strade medioevali, strette, protette dal sole, in tracciati asimmetrici e disposizioni labirintiche che generalmente sboccano in una piazza con la rispettiva chiesa, e un’architettura urbana simbolo di prosperità economica.
Conosciuta come la città delle Chiese, spiccano opere dell’architettura religiosa come la Cattedrale Metropolitana che rende culto alla Vergine della Candelaria, patrona della città; le parrocchie della Soledad, di Santa Ana, del Santo Cristo del Buen Viaje, le cappelle della Merced, del Sacro Cuore di Gesù, del Carmen e di San Juan de Dios.
Se si percorre la città, non si può tralasciare di visitare il Callejón del Ganado(il viale dei bovini) che circonda quasi tutta la città , o quello della Miseria che è il più corto vicolo, con quattro metri di lunghezza e due di larghezza.
Ma quello che rende singolare la città di Camagüey sono i suoi “tinajones” enormi otri di ceramica.
Nella «città dei tinajones» possiamo incontrare questi otri di ceramica come decorazione delle strade, delle piazze e dei giardini, anche se in maggioranza non compiono più l’antica funzione di altre epoche, che era bere l’acqua più fresca o raccogliere la pioggia che scorreva dai tetti, e come dice uno dei detti locali: «chi beve acqua del tinajón resta a Camagüey».
Terra di grandi patrioti che abbandonarono le loro comodità economiche e social e andarono nella manigua, anche da lì arricchirono i valori e la cultura di questo popolo dal quale sono usciti eroi della taglia dei fratelli Agüero, Salvador Cisneros e Ignacio Agramonte, il maggiore orgoglio degli abitanti di questi luoghi.
Camagüey non ha dato solo uomini valorosi. La storia di questo pezzetto di Cuba raccoglie donne emancipate nella loro epoca come le poetesse Gertrudis Gómez de Avellaneda e Aurelia del Castillo e patriote come Amalia Simoni, che non solo l’amore per il suo Ignacio che la portò all’idillio, la mosse anche il suo amore per Cuba.
Gli abitanti attuali di questa tranquilla zona di cappelli e di pastori, come la battezzò il camagüeyano poeta nazionale, Nicolás Guillén, a 511 anni dalla sua fondazione hanno l’impegno di combinare saggiamente la modernità dei nostri tempi con queste virtù della fondazione trasformate in leggenda: difendere tradizioni come il San Juan e raccontare meglio la sua ricca storia, senza riprodurre stereotipi colonizzatori, e risaltare i grandi valori indipendentisti che nella storia hanno fatto sentire l’orgoglio d’essere principi, agramontini e camagüeyani. (GM/Granma Int.)