OFFICIAL VOICE OF THE COMMUNIST PARTY OF CUBA CENTRAL COMMITTEE
Timbalaye 2024 per la chiusura dell’estate nel Consiglio Popolare di Jesús María ne l’Avana Vecchia , Vives e Belascoaín.. Progetto culturale di Matanzas. Forze e strumenti, antidoti contro la colonizzazione culturale, li abbiamo. Photo: Juvenal Balán

«La distruzione é nell’imitazione».
Mi sono ricordato del poeta indiano Rabindranath Tagore nell’ottobre del 2022, quando dei giovano indignarono il paese e la cultura cubana con dei cappucci stile Ku Klux Klan. Molti, in quei giorni, hanno adottato il consiglio, sempre affilato, di un pensatore come  Fernando Martínez Heredia,
«Si devono sviluppare offensive –non riposte– di educazione patriottica e socialista ben fatte, attraenti ed efficaci», reclamava l’intellettuale, «organizzare sagge campagne di condanna e disprezzo  degli aspetti bruti o meno dissimulati del sistema culturale-ideologico imperialista».
Cellulari, tablets, ordinatori, video giochi, films, annunci e Smart tv, con le reti sociali e  internet come complemento, danno corpo alla poderosa e sofisticata macchina per iniettare anti cultura  e veleno.
La  colonizzazione culturale é cosí, è il piú letale, sottile e furbo «serpente» que abita nel pianeta, per infortunio suo e degli altri popolatori, e che va dovunque con i suoi trucchi e  la sua facciata che inganna, aggeggi per infiammare gli illusi e divorarli.
Con questi  «canini», il velenoso esalta i suoi simboli, inoculand0 violenza, alienazione, consumismo, e anche false narrative; l’arsenale é ampio e non esclude nessun genere di banalità che tributi il suo ricolonizzatore obiettivo.
Questa è la «pozione», un’arma per spazzar via culture e identità, squalificare progetti sociali che lo disturbano , smobilitare resistenze liberatrici, togliere legittimità a governi indocili e contrapporre i loro popoli.     
 Tutto molto ben truccato, questo sì, per far sì che il consumatore  «gusti» la «píllola» in una Voz Kids, un Grammy Latino, un Oscar o un Miss di bellezza, nel show della NBA o della MLB, McDonald´s o Coca Cola esaltate, una marca commerciale, un vestito o una sfilata di moda.
 Il capitalismo –chimiamo il colonizzatore con il suo nome– ha creato un’infinità di stumenti e di spazi per promuovere i suoi valori -antipodi delle società come la nostra, e carcinomi nelle sue stesse nazioni e nel  Sud. Le idee, la memoria e i sentimenti sono i bersagli  preferiti di questa valanga  anticulturale.
La «corale» moderna pianta le sue fauci nella mente e nelle emozioni dei bambini, d nei giovani, come in quell’episodio che ricordo ancora, avvenuto in un autobus di una rotta locale a Guantánamo.
Con la bandiera gringa all’altezza del petto su una felpa e l svastica o croce uncinata sul collo - i due simboli di successo che negano la condizione umana -, il ragazoz percorse tutto l’interno del veicolo come fosse una passerella.
Il ragazzo ha ignorato la disapprovazione  che generava il suo comportamento tra gli altri passeggeri, meno che in uno che, senza scomporsi suggerì che il tema non meritava alcun interesse.
«Ognuno gode con quello che gli piace», ha detto. Ignoranza? Ingenuità? Mancanza di memoria?
Temi così ed anche altri con apparenza meno complessa, che il colonizzatore manipola con uguale sottigliezza e perversità identica nel proposito, in questa guerra di simboli possono provocare disturbi severi Pensando a questo  ricordo Eduviges, prestigiosa storiografa  del Guaso, morta da alcuni anni.
La vidi imporsi  quando qualcuno disse «è uguale ciabatta o pantofola, perché il nome non modifica l’oggetto»; ma «cambia il significato della sua origine, lo tergiversa –oppose la cattedratica–, e così ci priva di un filo col passato e falsifica l’autoria di qualcosa che crearono i nostri antenati.
«Ciabatta, più ch eun nome puo essre uno sparo», allertò l’investigatrice. Al margine della semantica, il suo ragionamento fece vedere un senso distinto nei nomi di «cutara»,  «cayuca» e altri
vocaboli aborigeni inseriti  nel nostro acervo storico-culturale.
Sono matasse che ad alcuni converrebbe disfare dal «gomitolo», per indurre la dimenticanza ed evitare  che i giri della memoria  ci ricordino i nostri antenati, il loro sterminio e il colpevole di questa tragedia, cosa che renderebbe più docile quelli che pretendono di colonizzare, e faciliterebbe il lavoro al colonizzatore.
La «corolla», appunta anche all’autoctonia dei popoli e meno male che «le vaccinazioni» contro il suo veleno si fabbricano nei quartieri dell’Isola.
A Guantánamo, per esempio, lo evidenziano progetti che coinvolgono bambini  e adolescenti nella
coltivazione del Kirivá e del Nengón nella comunità del Güirito, a Baracoa; il ballo di La Puntillita, a Maisí; o il Festival delle Tradizioni, a Yateras e in altri luoghi dell’Alto Oriente.
Ho l’impressione però che che questa línea «immunizzatrice» accusa discontinuità quando i suoi portatori saltano dall’insegnamento medio. E pensó anche che i nostri media di comunicazione possono – e devono–fare di più e meglio o prodotti nei quali «l’essere prevalga  sull’avere».
Nomi come  Elon Musk o Bill Gates, assieme a quelli di celebri sportivi, artisti e figure con titoli nobiliari risuonano vicini a non poche orecchie adolescenti e giovani del caimano; non sanno dell’abbondanza o delle carenze  spirituali e umane di quelli,  ma li chiamano uomini di successo solo perhè ammassano milioni.
In cambio,  Petronila Neira,  Berlanga, Conchita Campa, Soler Muñoz… autori di conquiste patrie, scientifiche, produttive, compatrioti uomini e donne di successo, Eroi del Lavoro non milionari, non
sempre parlano con la stessa precisione dei nostri pini nuovi.  
Far conoscere meglio le virtù di questi paradigmi di carne e ossa e quelle di altri eroi e eroine dell’educazione, lo sport, la difesa, l’arte, la produzione, sarebbe rianimare una cataratta riproduttiva dei nostri valori e simboli.
Questo rinforzerebbe il guscio  di un’isola afferrata, nonostante le tempeste, all’utopia di coronare sogni rinviati  nella colossale opera umana che costruiamo.
Del socialismo nostro, come disse Fidel, la cultura è la prima cosa che dobbiamo salvare Forze e strumenti, antidoti contro la colonizzazione culturale li abbiamo, e anche l’esperienza, dobbiamo sincronizzarli tutti e passare all’attacco.
 La guerra è permanente, diversa nelle sue dimensioni, e intensa. (GM/Granma Int.)