OFFICIAL VOICE OF THE COMMUNIST PARTY OF CUBA CENTRAL COMMITTEE
La copertina del diario

Obbligata a camminare in punta di piedi, privata dal mondo esterno, con la nostalgia dell’aria e della libertà, condividendo con glia altri quella solitudine che persiste anche se si è accompagnati, con la fiducia che il finale sarà «buono», così Anna Frank visse i suoi ultimi due anni.

Passò –a colpi di timori e precarietà, da essere un’alunna chiacchierona di 13 anni ,che era sempre la prima a fare scherzi, «l’eterna scherzosa» che si sentiva «cosciente d’essere una donna con forza morale e molto coraggio».

Lei, trottola e chiasso, indipendente, civettuola, interessata alla storia e alla mitologia della Grecia e di Roma, va ricordata non solo per le cause che la portarono alla morte, ma per la vitalità con la quale le affrontò, sicura che al termine di quella terribile guerra sarebbe stata riconosciuta come le altre persone e non solo come ebrea.

«Voglio continuare a vivere anche dopo la mia morte. Per questo sono grata a Dio che dalla mia nascita mi ha dato una possibilità (…), quella di esprimere tutto quello che accade in me.

Quando scrivo mi dimentico di tutto, il mio dolore scompare e il mio coraggio rinasce. Ma- e li c’è questione primordiale–, sarò capace, una volta, di scrivere qualcosa che duri, potrò un giorno essere una giornalista o una scrittrice?, scrisse nei suoi appunti.

Non stupisce quindi che quella notte del 28 marzo del 1944 mentre ascoltavano la radio, tutti gli occhi si rivolsero verso di lei e il suo diaro preso d’assalto, dopo aver ascoltato il ministro Bolkestein che diceva che al termine della guerra si sarebbero collezionate lettere e memorie sull’epoca.

«Figurati, un romanzo sull’annesso pubblicato da me! Vero che sarebbe interessante?», scrisse nei suoi appunti sulla veglia.

Grazie alle memorie che scrisse così abilmente nel suo diario, l’umanità ha potuto sapere come mangiavano, dormivano, passavano i giorni quegli otto ebrei che vissero clandestinamente nell’annesso di un magazzino in Olanda, spaventati dai bombardamenti continuati e dalla feroce paura «d’essere scoperti e fucilati dalla Gestapo», tutto mentre mezzo mondo sprofondava nella fame, la miseria e la morte scatenate dalla Seconda Guerra Mondiale.

In Kitty –come chiamò «la prima sorpresa» che ricevette il 12giugno del 1942 nel suo tredicesimo compleanno– trovò a chi affidare senza risereve tutto quello che non era capace d’esprimere nemmeno ai genitori o alla sorella.

Angustiata dai conflitti familiari, da quelli tipici dell’adolescenza e da quelli dovuti alla prigionia, la guerra e sapersi assediata, Anna non dava tregua alla penna e al diario, centro delle sue ansie troncate di divertirsi, andare in bicicletta, a scuola, ballare, fischiare, avere un posto nel mondo e lavorare per i suoi simili.

Lì nel mezzo dell’asfissia della clausura incontrò l’amore in Peter, il figlio della famiglia con la quale i Frank condividevano l’annesso.

«Ogni volta che lui mi guarda con questi occhi (…) mi pare che in me si accenda una fiammella». Anna comprese che in tanto orrore «chi è felice può rendere felici gli altri. Chi non perde il coraggio e la fiducia non morirà mai in miseria».  

Lei, come tanti altri ebrei, morì in un campo di concentramento un mese prima che fosse liberato. Oggi, quando ilmondo si somma nell’odio e nei conflitti, la fermezza di spirito è il migliore omaggio a questa giovane assassinata dalla mostruosità umana. (GM – Granma Int.)