OFFICIAL VOICE OF THE COMMUNIST PARTY OF CUBA CENTRAL COMMITTEE
Photo: Perfecto Romero

Ai testimoni, quei presenti, ancora vivi, basta chiudere gli occhi. Per coloro che videro, (doppia), la luce dopo quel 8 gennaio del 1959, restano lì intatte -come respirando l’ossigeno di questo 2025 – le immagini captate da lenti che aprivano una e un’altra volta le cortine,impegnate a congelare per la storia quello che non si era mai visto-
Carri armati, altri mezzi blindati, camions, automobili, veicoli militari di ogni tipo solcano un mare di popolo senza precedenti, nel Cotorro; passano per il Castillo de Atarés, la Marina di Guerra (dove Fidel scende e sale sullo yacht Granma, che forse lo stava aspettando (ancorato al molo), poi l’Avenida de las Misiones, il Palazzo Presidenziale,il  Malecón, Avenida 23 e Columbia.
Su questi mezzi ci sono i barbudos dell’Esercito Ribelle guidati  da Fidel e Camilo, con soldati dello sconfitto esercito della tirannia, sommati alla Carovana, in una delle prime e molto belle espressioni dell’arma letale che l’impero non ha mai potuto neutralizzare a Cuba: l’unità.
Sono passati 66 anni e insieme a queste immagini  pulsano ancora i consigli, le allerte davanti ai pericoli reali in arrivo, le meditazioni e la indiscutibile saggezza del Comandante in Capo, in un discorso del quale risulta estremamente difficile –se non impossibile- definire un paragrafo più importante degli altri paragrafi.
Terminavano decenni di corruzione politica, saccheggio economico, demagogia, indulgenze, e soprattutto molte menzogne, facendo il gioco del potere.
Non fu per caso che sin dal principio affermò:«E  per questo io voglio cominciare – o meglio continuare- con lo stesso sistema. Dire sempre la verità al popolo… Come ha vinto la guerra l’Esercito ribelle? Dicendo la verità! Come ha perso la guerra la tirannia? Ingannando i soldati …»
Ha davanti migliaia di uomini e donne, o quel che è, ugualmente, questa forza che proprio lì definisce come«la nostra colonna più ferma, l’unica truppa capace di vincere la guerra da sola. Questa truppa è il popolo! Nessun generale può più di un popolo! Nessun esercito può più di un popolo. Se mi domandassero che truppa preferisco comandare, io direi preferisco comandare il popolo».
Risulatno invidiabili la maestria, la dedizione e il disinteresse con cui lo ha fatto quel giorno  in cui intraprese la sua non meno vittoriosa carovana, di ritorno definitivo a Santiago nel 2016.
Non esiste nemmeno un dubbio nei grati, nè nei nati per vincere e non per essere sconfitti e nemmeno nelle migliaia di colombe bianche moltiplicate dopo quella che si posò sula sua spalla in quello scambio« a tu per tu » con il popolo al quale parlò tanto quel giorno della pace che, come nazione, era voluta da Cuba intera.
Tutti questi anni sono stati difficili, forse di più questi ultimi. Chi sa sino a che punto i prossimi.
 Non c’è sorpresa. Lo disse lui con un chiaro anticipo quello stesso 8 gennaio.
L’importante è non dimenticarlo. È saper affrontare le avversità. È non rinunciare a vincere.  
È lì la grande verità. ( GM/ Granma Int.)