
Anche il cielo si oscurò quel fatidico 11 gennaio del 1980. Un giorno cupo per la Patria. Una giornata triste per un popolo costernato per la dipartita fisica, a soli 59 anni, dell’anima femminile della Rivoluzione, il fiore più autoctono dell’Isola.
Terminò troppo presto la presenza indimenticabile di chi in epoca di guerra era stata battezzata Norma, Aly, Carmen, Liliana e Caridad, ma alla fine, sempre Celia, la guerrigliera temeraria, la dirigente attenta, la madrina di tutti.
Che straordinaria esistenza quella che accolse nel suo grembo materno l’affetto di milioni, ammiratori di questa capacità così sua di combinare la guida con la bontà, il rigore con la tenerezza, la semplicità con la grandezza.
Che bell’esempio quello che espresse sin dall’infanzia, quando a lato di suo padre Manuel - medico onorato- aiutava ad alleviare i dolori del corpo di coloro che potevano offrire solo la gratitudine, e che scalò il punto più alto della geografia cubana (il Pico Turquino) per collocare lì un busto in onore dell’uomo della Età d’ Oro.
Che verve tremenda quella di Celia ribelle. La giovane esile che organizzò la rete contadina che protesse solidariamente i membri della spedizione dello yacht Granma, la combattente coraggiosa della clandestinità, la prima in verde ulivo nella Sierra Maestra; l’ anima della fondazione di un plotone di donne e la miglior salvaguardia della memoria storica della guerriglia rivoluzionaria.
Se fu cruciale per l’Esercito Ribelle, risultò imprescindibile in ogni opera della Rivoluzione trionfante. Luce alla destra di Fidel, nell’Eroina della Sierra e del Piano annidò l’amor e il rispetto del giusto.
Non ci fu un progetto o un problema dei lavoratori che la lasciò indifferente, e nemmeno i bambini orfani, i contadini, i giovani, le donne …
Nelsy Babiel, sua collaboratrice diceva : «Tutti avevano fiducia in lei e nessuno fu abbandonato».
Modesta nel vestire e nel suo attuare senza etichette, Celia fu l’incarnazione dell’umiltà. Pupilla protettrice della nazione e guida naturale che «non guardò mai in sbieco», il nostro fiore autoctono se ne andò del tutto in quel gennaio. Restarono il suo diafano sorriso, il suo amore per la natura e i suoi dettagli unici.
Il suo ricordo è presente, di là delle fotografie e nonostante il tempo, nella memoria di questo popolo, nella fermezza e nella bellezza, sia nell’acqua chiara del mare o nella difesa della cubania, nell’aroma del fiore o nell’arte di resistere, creando. ( GM- Granma Int.)